Francesco Foschi
(Ancona, 1710 - Roma, 1780)
Paesaggio invernale con villaggio figure e cavalieri
Olio su tela, cm 108x134
Accompagnato da scheda attributiva della dott.ssa Annalisa Scarpa
Il paesaggio qui riprodotto si inserisce a buon titolo, a mio parere, nella produzione del pittore Francesco Foschi, nato ad Ancona il 21 aprile 1710 e morto a Roma il 21 febbraio 1780.
Dopo un breve apprendistato a Fano presso il figurista Francesco Mancini, dal 1729 si trasferì, con la famiglia, a Roma dove rimase fino alla metà degli anni ’40. Già in questi anni romani si dedicò soprattutto alla pittura di paesaggio, ma non solo: ad esempio, realizzò dodici dipinti raffiguranti episodi tratti dalle Metamorfosi di Ovidio e il Panorama di Loreto con medaglione dei papi Leone X, Benedetto XIV e Sisto V, tuttora custoditi presso il Palazzo Apostolico di Loreto, dove l’elemento figurativo assume una valenza non superficiale. Nel 1744 sposò a Roma Costanza Scirman, e due anni dopo la coppia si sposta a Loreto, dove il pittore intraprende anche una proficua attività di mercante d’arte, soprattutto per il conte Raimondo Bonaccorsi, suo protettore, che assistette nella realizzazione di una prestigiosa raccolta d’arte, della quale faceva parte anche la serie dei dipinti ovidiani. La fama di cui godette presso i contemporanei è però legata soprattutto ai paesaggi di soggetto invernale il cui primo esempio noto è custodito a Grenoble al Musée des Beaux-Arts firmato e datato 1750 (olio su tela, 100x136).
Nel 1755 Francesco si trasferì, con la moglie, a Pesaro, e qui nacque la figlia Caterina. Poco meno di dieci anni dopo avvenne il trasferimento definitivo a Roma dove egli morì all’inizio del 1780. Era talmente noto il suo particolare talento nelle vedute innevate che nel necrologio che gli venne dedicato l’11 marzo dal quotidiano Ordinario del Chracas, detto anche il Diario di Roma, venne definito propriamente “il famoso pittore di paesaggi invernali”. In queste opere, che gli dettero meritata fama, egli racconta una natura impervia e dura, ma non inospitale; una natura nel cui grembo gelido l’uomo perpetua le proprie attività, se non incurante, quantomeno non turbato dal rigore climatico che lo circonda. Spesso compaiono piccoli villaggi, o meglio, raggruppamenti di edifici, talvolta con accanto una chiesetta, un modesto campanile, una piccola torre. I tetti delle casupole sono spioventi, con un sapore vagamente nordico. Arroccato su un roccione innevato, un certo numero di abeti riuniti in piccoli gruppi, interrompe lo scorrere omogeneo delle pareti montuose, animando il ritmico susseguirsi dei piani fino all’orizzonte, come si riscontra ad esempio, nel Paesaggio invernale con caverna del Museo Thyssen Bornemisza di Madrid e in vari altri, come il Paesaggio con carrozza di collezione privata inglese.
Sono cifre stilistiche queste che riappaiono nel dipinto qui analizzato, dove l’artista pare quasi voler accentuare il senso nordico dell’atmosfera, rendendo il cielo più plumbeo e gelido, mentre le figurine si affaccendano a condurre a riparo gli animali, a radunare fascine per i camini, a raccogliere acqua prima che il pozzo geli. Il racconto si snoda ben diverso in primo piano, dove i tre cavalieri, intabarrati nei loro mantelli ma incuranti del rigore che li circonda, sembrano interessati soltanto alla propria battuta di caccia. La particolare vivacità della scena, così diversificata in vari episodi, rende più dinamico lo svolgersi del racconto e pare quasi riportarci a talune atmosfere che si ritrovano nei dipinti olandesi del tardo Seicento che l’artista di certo a Roma aveva potuto conoscere.
Annalisa Scarpa