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Antichità Giglio

Giovan Francesco Briglia (Roma 1737/39-1794)

COD. 1633
Giovan Francesco Briglia (Roma 1737/39-1794)

"Interno di dispensa con selvaggina di penna e gatto"

€ 5.500,00
Giovan Francesco Briglia (Roma 1737/39-1794),
"Interno di dispensa con selvaggina di penna e gatto", olio su tela, cm 74x100; cm con cornice 85,5x110

Corredato dalla scheda attributiva del professor Alberto Crispo

Il dipinto qui illustrato, cm 74x100, raffigura uno spazio chiuso, forse l’interno di una dispensa, dove è stata appoggiata a terra e appesa al muro della selvaggina di penna, mentre un gatto si affaccia da un’inferriata sul fondo.

La natura morta, a mio parere, può essere ricondotta alla mano di Giovan Francesco Briglia (Roma 1737/39-1794), come testimoniano i confronti con la produzione dell’artista. Basti osservare il Giovane cuciniere di collezione privata pubblicato da L. Salerno, La natura morta italiana 1560-1805, Roma 1984, p. 382, fig. 118.2, in cui ritroviamo la stessa resa smaltata nella figura e nella selvaggina in basso, soprattutto nel piumaggio nitidamente scandito del fagiano, ma anche un contrasto chiaroscurale di gusto seicentesco, evidente sia negli elementi di natura morta che nell’alternanza di luci e ombre sul fondo della stanza. […]. Nel nostro e nei dipinti messi a confronto è palese l’inclinazione per un racconto aneddotico, dove le rassegne alimentari fanno da contorno ai veri protagonisti delle scene, il gatto e i due cuochi.

Sappiamo che Giovanni Francesco Briglia nacque a Roma nella seconda metà degli anni Trenta del Settecento (1737 o 1739), fu allievo di Francesco Mancini e si trasferì assai giovane a Firenze.

[…] Possiamo far risalire l’arrivo del Briglia a Firenze attorno al 1760, quando era poco più che ventenne, la sua affermazione sulla scena artistica fiorentina si era pienamente realizzata già una decina d’anni dopo, quando “Il Sig. Conte di Halbany [Carlo Edoardo Stuart, conte d’Albany]… si portò la mattina del dì 4. Ottobre [1770] con Gentiluomini del suo seguito nello studio di pittura del Sig. Giovanni Briglia abile Pittore Romano, che da molti anni in quà si è stabilito in Firenze, che ha aperto ultimamente lo studio suddetto lungh’arno in una casa accanto alla volta del ponte a Santa Trinita; e lì il nominato sig. Conte si trattiene con piacere osservando i bei lavori del medesimo, che si distingue ugualmente nelle cucine, che nei ritratti, e quadri Eroici” (“Gazzetta Toscana”, 1770, n. 40).

Pietro Zani, a inizio Ottocento, inserisce nel suo repertorio dei pittori anche la moglie di Giovan Francesco, Anna Briglia Bargiacchi, fiorentina, e un Giuseppe Briglia specializzato nel dipingere animali (P. Zani, Enciclopedia metodica critico-ragionata delle belle arti, I, V, Parma 1820, pp. 51-52). Non è chiaro se quest’ultimo fosse una ulteriore personalità, magari in relazione di parentela con il nostro artista, o si tratti piuttosto di una errata trascrizione del suo nome. Va aggiunto che diverse opere accreditate a Giuseppe vennero esposte nel 1767 alla Santissima Annunziata di Firenze, nel chiostro dei pittori (F. Borroni Salvadori, Le esposizioni d’arte a Firenze dal 1674 al 1767, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, XVIII, 1974, 1, pp. 1-166, in partic. p. 69, nota 334): si trattava di alcuni “quadri traversi” con figure e animali (di proprietà del senatore Bernardino Riccardi), di una Testa di giovane che ride (senza indicazione del collezionista) e di una tela con i Discepoli di Emmaus (dell’auditore Mormorai), identificabile forse con il dipinto di analogo soggetto e firma non ben leggibile, esposto nel 1922 alla mostra della pittura italiana del Sei e Settecento in Palazzo Pitti, quando apparteneva alla collezione Chiesa di Milano (R. Longhi, Note in margine al catalogo della mostra sei-settecentesca del 1922, in Id., Scritti giovanili 1912-1922…, Firenze 1961, I, pp. 493-512, in partic. p. 497, II, fig. 222, che lo assegnava a Giovan Francesco […].

La vicenda biografica del Briglia e dei suoi familiari, veri o presunti, è dunque ancora piuttosto confusa, mentre il suo catalogo, che conta un numero esiguo di opere certe, è stato ricostruito a partire dai due quadri un tempo nella collezione Spark di New York, riconosciuti al pittore da Mina Gregori grazie alla firma sull’uno e alla sigla G.F.B. sull’altro (vedi R. Roli, in La natura morta italiana, catalogo della mostra (Napoli-Zurigo-Rotterdam), Milano 1964, p. 120, nn. 287-288)

La resa levigata delle superfici e il marcato chiaroscuro palesano l’attenzione del Briglia per gli specialisti fiamminghi attivi a Roma nel secolo precedente, in particolare per Johannes Hermans detto Monsù Aurora, mentre la scelta di un repertorio rustico, in cui prevalgono gli interni di cucina o di dispensa, rientra in una tendenza che caratterizza parte della natura morta italiana settecentesca e che troverà altri interpreti in Tommaso Realfonso, Giacomo Nani, Carlo Magini e Nicola Levoli.

(Alberto Crispo)


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