Il divano “ad orecchioni” è così da sempre denominato per i suoi braccioli estroflessi. Essi accompagnano la storia del mobilio lombardo sin dal loro apparire in un periodo di transizione tra il XVII e il XVIII secolo. Infatti, l’austerità delle basi e delle gambe a rocchetto dei mobili va via via ad ingentilirsi e nei divani, pur restando le gambe tornite con i pesanti dadi di raccordo, gli schienali e i braccioli si fanno a volute. Questo movimento dei braccioli si chiama appunto “ad orecchioni” mentre in Piemonte viene denominato “flasco”. Verso la prima metà del XVIII secolo le mosse diventano sempre più evidenti e i virtuosismi si leggono nelle linee più numerose e spezzate negli schienali e nei riccioli in cui terminano i braccioli. Questi sono scolpiti con eleganza e, a volte, con intagli di influenza veneta. Dalla metà del XVIII secolo la leggerezza dei divani si ottiene con gli schienali suddivisi in scomparti con traverse sagomate oppure resi a giorno e quindi sollevati rispetto alla seduta. Le gambe di pari passo si assottigliano, si incurvano e, così come le cinture, vengono scolpite con leggeri decori a tralci fioriti, a piccole riserve e cartigli. Ad aumentare raffinatezza, eleganza e leggerezza ci immaginiamo gli abiti ampi delle dame a gareggiare in sontuosità con le tappezzerie operate in seta dei rivestimenti dei divani.
Per confronti con il divano qui presentato si veda: C. Alberici, Il mobile lombardo, Milano 1969, pagg. 140-143 e AA.VV. La collezione Cagnola, Busto Arsizio 1999, p. 142