Antonio Mancini è stato, tra i pittori italiani dell’Ottocento, uno dei più importanti. La sua è una vita difficile. Formatosi alla scuola di Domenico Morelli a Napoli, dove si trasferisce nel 1865, ha una salute segnata da disturbi mentali, oltre che da una giovinezza povera e molto difficile, un destino triste, che fu la caratteristica principale delle sue prime opere di tipo naturalistico che raffigurano venditori, clown e soprattutto, scugnizzi che indossano stracci.
La vita di Antonio Mancini è segnata anche da una grave crisi nervosa e da un periodo trascorso nel manicomio Provinciale di Napoli, dove dalla sofferenza nascono i suoi cosiddetti ritratti della follia. Tra questi spiccano il Prevetariello, esposto al Museo nazionale di Capodimonte e lo Scugnizzo che altro non è che il suo autoritratto, un’attenta osservazione della vita popolare con il quale il pittore s’identificava.
Nei vari viaggi a Venezia, Parigi, Londra esegue numerosi ritratti. Viene molto colpito dalla pittura veneziana ed riceve riconoscimenti un po’ dappertutto. Malgrado i viaggi a Parigi, momenti importanti del suo percorso artistico, non viene mai attratto dalle tendenze della pittura francese di allora, anzi rafforza il legame con il naturalismo ottocentesco. Conosce a Parigi e diventa amico di John Singer Sargent che apertamente lo considera il maggior pittore vivente. Si può dire che diventa quasi un rivoluzionario nel suo campo.
La critica apprezza soprattutto la sua tecnica unica e molto personale. Richiesto dai collezionisti, Antonio Mancini dipinge vere e proprie copie delle sue opere più celebri. Di recente al Philadelphia Museum of Art gli è stata riservata una mostra importante per celebrarne la modernità e popolarità. Oggi Antonio Mancini viene rivalutato, anche se solo in parte, insieme alla scuola artistica napoletana. Anche negli ultimi anni della sua vita comunque ottiene importanti tributi nelle principali rassegne italiane. Muore a Roma il 28 dicembre del 1930.