Mario Sironi nasce a Sassari il 12 maggio 1885. Era il secondo di sei figli, nato da padre ingegnere e architetto, Enrico Sironi che in quel periodo lavorava in Sardegna, e Giulia Villa, una donna fiorentina.
A Roma frequenta l’Accademia di Belle Arti di Roma e più tardi lo studio di Giacomo Balla, dove conosce e stringe amicizia con Umberto Boccioni e Gino Severini. Sironi si considerava più romano che sardo e del romano aveva anche l’accento.
Era un uomo introverso e pieno di complessi, non si mostrava mai soddisfatto delle sue opere, viveva un disagio esistenziale che gli procuravano continue crisi depressive, crisi che lo accompagneranno tutta la vita.
Nel 1914 si trasferisce a Milano. La sua pittura si avvicina al Futurismo anche se il suo stile comincia a spostarsi su forme tendenti al metafisico. Nel 1920 con Achille Funi, Leonardo Dudreville e Luigi Russolo firma il manifesto Contro tutti i ritorni in pittura.
Nel 1925 è stato tra i promotori del gruppo del Novecento, assunse un ruolo di primissimo piano e, nel 1933, autore del Manifesto della pittura murale, sperimentò tecniche diverse e nuovi modi decorativi.
Grande è Il Pastore, dipinto del 1932, che si trova a Trieste, nel Museo civico Revoltella. Nel 1933 con C. Carrà e M. Campigli fu autore del Manifesto della pittura murale, occasione questa che gli servì per sperimentare nuove tecniche di pittura murale, mosaico e bassorilievo.
Nel dopoguerra la pittura di Sironi si fece cupa e drammatica perché provato dalla morte della figlia e tornò alla pittura da cavalletto, con tendenze e risultati simili a quelli dell’astrattismo.
Nel 1949 aderì al progetto della collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando un autoritratto e l’opera Il Lavoro. Al contrario di molti artisti del Novecento, Mario Sironi non ebbe mai lo stesso comportamento e la stessa espressione artistica ma seppe rinnovarsi sempre e trovare nuove forme espressive.
Muore a Milano nel 1961 e negli ultimi anni eseguì la serie delle Montagne e in molte sue opere anticipò l’astrattismo.