“Il pittore che fuggiva il vento”. Era questo il soprannome di Antonio Donghi (Roma, 16 marzo 1897 – Roma, 16 luglio 1963), pittore italiano diventato famoso per i suoi quadri “immobili”, ove, appunto, sembrava che il vento non soffiasse mai: alberi dalle foglie bloccate, una donna sull’altalena che più che un dipinto sembra un fotogramma, che fa intuire che prima e dopo quel momento un movimento ci sarà, ma che in quel momento è tutto statico.
Comincia ad esporre per la prima volta nel 1924 Donghi, facendosi conoscere e via via apprezzare da un pubblico sempre più vasto; fa parte di quel movimento che il critico tedesco Franz Rohn definirà “Realismo magico”, la rappresentazione cioè della quotidianità immersa e come sospesa in un’atmosfera diversa, una bolla priva di tempo. L’assenza di questo tempo, unita ad una malinconia sottile che pervade i suoi dipinti, lascerà nel corso del tempo spazio alla rappresentazione quasi esclusiva di paesaggi, indagati dal vero con frequenti viaggi.
È un artista che si muove sempre sulla linea di confine realtà-astratto, capace di donare ad una farfalla lo status di attrice inconsapevole di un paesaggio immobile e stranamente familiare. Espone nel 1925 ad una importante mostra a Mannheim (“Nuova oggettività”), mentre nel 1926 partecipa con 10 quadri alla Exhibition of ModernItalian Art, organizzata dal Ministero della Pubblica Istruzione e itinerante nei musei di New York, Boston, Washington, Chicago e San Francisco. Nel 1928 espone alla Biennale di Venezia, mentre il 1939, quando l’Istituto Centrale del restauro gli affida il settore tecniche pittoriche, può considerarsi il suo anno fortunato.
Da questo momento in poi lo schivo pittore italiano si dedicherà quasi esclusivamente all’insegnamento, partecipando sempre più raramente a mostre e dipingendo sempre meno, escluso qualche paesaggio, cominciando a scivolare verso il 1963, anno della sua morte, verso quell’immobilismo che, protagonista indiscusso della sua pittura, finirà per impossessarsi anche della sua persona il 16 luglio.