Il dipinto è stato sottoposto a un recente restauro che lo ha riportato a una piena leggibilità. La tecnica esecutiva è evidentemente seicentesca; l’impiego di una tela a filatura spessa è per l’appunto tipico di molte opere prodotte a Napoli nella prima metà del Seicento.
Il soggetto giocoso, in cui i bambini esprimono azioni, passioni, posture tipiche degli adulti, deriva da una serie di incisioni di Giacinto Gimignani intitolata Scherzi e giuochi diversi de putti (1647), e da una serie di giochi dell’infanzia di Jacques Stella (morto nel 1657), incisa e pubblicata nel 1667 dalla nipote Claudine Bouzonnet Stella. Sin dal Tributo a Venere di Tiziano (Madrid, Museo del Prado, 1519) e dalle incisioni di Annibale Carracci, i dipinti basati su immagini dell’infanzia proliferano nell’arte europea. Verso il 1620 Rubens dipinge una Ghirlanda di frutti e fiori recati da putti a Monaco, Alte Pinakothek. Nel Giardino di Carità, in Venere e Adone e nel Giardino di Venere, Pietro Testa rinnova l’interpretazione dell’infanzia come simbolo delle emozioni umane.
Anche Nicolas Poussin, nei Baccanali di putti a Palazzo Barberini, Galleria Nazionale di Arte
antica (1626 circa) e in vari momenti della sua prima fase romana, ha affrontato la tematica in chiave di revival classico, e si ritiene che egli abbia fornito idee e disegni per il citato
libro di incisioni di Jacques Stella Les Jeux et Plaisirs de l’Enfance, pubblicato a Parigi nel 1667. Da vari riscontri risulta evidente che disegni eseguiti per questa raccolta erano noti nell’ambiente napoletano anche prima della data di pubblicazione.
Il modo stilistico e la possibilità di numerosi raffronti consentono di attribuire con certezza l’opera a Massimo Stanzione, che insieme a Jusepe de Ribera fu il maggior pittore a Napoli per tutta la prima metà del Seicento. Il volto del bambino di profilo alla estrema destra del dipinto è lo stesso di quello in primo piano a destra del Sacrificio di Mosè a Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte, firmato con monogramma, opera della fine degli anni Venti.
I due putti alla sinistra del dipinto sono invece raffrontabili a quello in alto a sinistra
dell’Assunzione della Vergine a Raleigh, North Carolina Museum of Art, opera datata tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta.
Anche in opere più tarde di Stanzione come il Riposo nella Fuga in Egitto a Sarasota, John and Mable Ringling Museum, osserviamo rapporti tipologici e di stile con il dipinto in discussione, e similitudini si colgono tra il bambino che mangia ciliegie e quello che sta
addentando un grappolo d’uva nel Baccanale del Prado, eseguito verso il 1635.
Il debito verso le stampe di Gimignani è evidente guardando i due ragazzini a destra, dei quali quello in Stanzione, nudo, sembra riprendere il suo omologo a destra delle Capriole.
Nell’esperienza di chi scrive è ormai costante osservare che quando si iniziano a smontare le composizioni e le figure di un dipinto del Seicento si ritroveranno citazioni, prelievi o ‘furti’ dalle incisioni, tratti anche da più di un autore. Infatti, guardando al putto di spalle che prova a salire in sella al cane, è impossibile non tornare con la memoria a una delle Lascivie di Agostino Carracci, quella con il Satiro che frusta una ninfa. Infine, lo splendido alano che sopporta stoicamente i tentativi di equitazione dei tre bambini non ricorre nella casistica a me nota della produzione di Stanzione. L’impressione che il vigoroso ed esattissimo chiaroscuro, unito anche alla perfetta definizione dei frutti in secondo piano a destra di
chi guarda, possano essere ascritti alla mano di Giovan Battista Recco, al quale peraltro è stato attribuito lo splendido brano di natura morta nella Cena in casa di Simone (o Ultima cena) di Stanzione nel Coro della Certosa di San Martino (Napoli). Non saprei dare conto del monogramma ‘A.A.’ in basso a sinistra, dipinto in caratteri gialli, sicuramente antico ma sovrapposto alla materia pittorica; in un primo momento ho immaginato che potesse riferirsi ad Aniello Ascione, che però firmava con un monogramma differente, e dunque per ora la questione va lasciata aperta, anche perché oggettivamente la parte di natura morta è molto più vicina ai modi di Giovan Battista Recco.
È possibile che si tratti di un marchio di collezione ma, di nuovo, non saprei andare oltre questa ipotesi.
Come vedremo qui più avanti, il dipinto in discussione è raro ma non unico nel percorso creativo di Massimo Stanzione. Non molti anni fa un’opera intitolata Putti con un cane è stata prima presso Giacometti (Napoli), poi è passata a Vienna presso Dorotheum; è stata attribuita ad Antonio de Bellis da Nicola Spinosa, ed è una versione parziale – forse un frammento? – del lato sinistro dell’opera in discussione, certamente basata sullo stesso cartone.
Che Stanzione abbia praticato il genere dei giochi di bimbi in più di un’occasione è provato dai Bambini che sistemano ghirlande di fiori in collaborazione con Luca Forte già a New York presso Christie’s (l’attribuzione è di chi scrive). Si tratta di un’opera certamente più tarda, forse eseguita verso il 1650, in cui i vigorosi contrasti del dipinto qui in discussione si sciolgono in una ambientazione a luce meridiana, chiaramente ispirata alle svolte di tendenza classicista impresse all’ambiente napoletano dalla conoscenza delle opere di
Guido Reni, a anche dagli affreschi di Domenichino per la Cappella del Tesoro di San Gennaro.
Infine, per la fortuna dei dipinti con giochi di bambini a Napoli nella prima metà del Seicento, va almeno menzionato qui quello con Giochi di bimbi presso una statua di Bacco di Bernardo Cavallino nel Museo di Capodimonte; opera del sesto decennio del Seicento sicuramente generata dalla Capriola di Gimignani.
Data l’importanza del dipinto in discussione, è intenzione di chi scrive darne conto in una
appropriata sede scientifica, previo il consenso del proprietario.