In cornici in legno scolpito e dorato (misure complessive cm 125x114)
Corredati da scheda attributiva della dottoressa Francesca Baldassari, datata Firenze, 7 maggio 2019 e di seguito riportata.
“Le due tele sono da restituire per evidenza stilistica al catalogo di Alessandro Rosi, artista originale e complesso, che si formò alla scuola dei fratelli Cesare e Vincenzo Dandini.
In seguito a nuove e decisive esperienze, come lo studio del Lanfranco e di Pietro da Cortona, Rosi, a partire dagli anni Cinquanta del Seicento, adottò quello stile che lo condusse al successo e che contrassegna anche queste tele: pennellate dense e flagranti, panneggi gonfi, colori vivaci e smaltati, giochi chiaroscurali decisi.
Entrambi gli episodi, accomunati dalla presenza della palma del martirio in primo piano e di paffuti cherubini nel registro superiore, sono osservati da un punto di vista ravvicinato che esalta le espressioni e la gestualità delle figure.
Nell’ottagono dedicato alle cure di Sant’Agata, Pietro è colto in atto di stendere l’unguento sul seno martoriato della giovane che forse per pudore distoglie lo sguardo dall’amorevole gesto, mostrandoci il profilo, la spalla e il seno lasciato scoperto dalla camicia. La posa di questa figura femminile ricorre in tutta la produzione di Rosi: dalla giovanile Aurora affrescata a Palazzo Corsini a Firenze (1650-1653) alla tarda Venere disegnata per gli arazzi medicei (1692).
Il dialogo muto, intriso di fervore religioso, intessuto tra i due protagonisti, entrambi colti di profilo, è arricchito di dettagli resi con precisione calligrafica e ricchezza materica: il libro sacro e la palma del martirio in primo piano e i tre biondi cherubini dai ciuffi al vento nello sfondo. Come nella migliore produzione dell’artista la gamma dei colori dell’abbigliamento dei protagonisti è vivacissima: il viola e giallo oro dell’abito di Pietro, il bianco della camicia e il rosa salmonato acceso della veste di Agata.
Nel pendant si narrano i supplizi inflitti dal padre e dall’imperatore alla giovane e bellissima Cristina, segregata prima in una torre e poi trafitta dalle frecce in seguito alla sua ostinazione a non voler abiurare la fede cristiana. Il suo incarnato livido è il segno evidente delle sofferenze che sta subendo.
Avvolta in una ricercata veste color lilla, su cui poggia un altrettanto raffinato scialle bianco impreziosito d’azzurro e di bordure dorate, Cristina è legata per una corda ad un palo, esposta all’ira di aguzzini che tuttavia non compaiono nella rappresentazione. Sbilanciata su un lato, con la testa reclinata, l’aria afflitta e dolorante, la giovane sembra trovare conforto solo nell’angioletto che le offre la palma del martirio e nei due cherubini che si affacciano nel cielo percorso da nuvole striate dello stesso lilla del suo abito.
La medesima posa per la stessa protagonista è stata ripetuta da Rosi nella tela raffigurante il Martirio di Santa Cristina conservata nella Badia di San Michele Arcangelo a Passignano, databile al 1686-1687.
Una simile collocazione cronologica è da estendersi alla coppia di ottagoni in esame, destinata alla devozione privata, come indica anche il formato ottagonale. Ineccepibili sono i confronti all’interno del catalogo pittorico degli ultimi due decenni dell’attività di Rosi. Penso soprattutto all’Agar e angelo della Fondazione Cavallini Sgarbi a Ferrara, in cui si riscontra un cielo analogamente striato di nuvole rosate, ma anche al Riposo della Fuga in Egitto di collezione privata[1], in cui il San Giuseppe presenta la stessa fisionomia del nostro San Pietro e il profilo affilato della Vergine rima con quello della nostra Sant’Agata.
Francesca Baldassari
[1]Per la sua illustrazione cfr. E. Acanfora, Alessandro Rosi, Firenze, 1994, p. 86, n. 57, fig. 47.